LA SECCA DI AMENDOLARA

 

Controversa è la ubicazione dell’isola di Ogigia, identificata ora con l’isola di Gaulos o Gaudos, od Gozo, del gruppo maltese (CALLIMACO, in Strab. VIII, 299; FENELON, «Avventure di Telemaco»), ora con la stessa isola di Malta (Mizzi), ora con l’isola di Pantelleria (S. BUTLER, «The Authoress of he Odyssey», London, 1897), ora con l’isola di Nufea presso la costa illirica, ora con l’isola di Peregil presso lo Stretto di Gibilterra, ora con una delle Dioscoridi presso il Promontorio Lacinio (Ps. SCYLACE, 13; PLIN. III, 96; GIAMBL. IV, 57), ora in un lembo di terra sommerso presso il Promontorio Cocinto (G. ROGLIANO, «La dorsale sommersa in prospicienza di Punta Stio è stata Ogigia, l’isola di Calipso? », Cosenza, 1968), ora con altre isole. (Cfr. MEULI, « Odysée und Argonautika », Basilea, 1921; GUNTERT, «Kalypso», La Halle, 1919).

Fra le tante localizzazioni, si è anche supposto che la mitica isola potesse corrispondere al banco di Amendolara, ritenuto il resto di un’antica terra isolana; e ciò anche perché antestante ad esso viene a trovarsi, nella valle del Caldanello, in quel di Cerchiara Calabro, l’antro delle Ninfe Lusiadi, costituito talamo della bella Calipso (A. D’ARRIGO, «Premessa geofisica alla ricerca di Sibari», Napoli, 1959; V. LAVIOLA, «Necropoli e città preelleniche, elleniche e romane in Amendolara», Cosenza, 1971, p. 12).

Questo banco — una grossa secca a undici miglia marine a nord-est di Trebisacce con fondali che vanno da un minimo di sette metri ad un massimo di venticinque — era praticamente sconosciuto fino al 1936 e nessun portolano lo segnalava.Venne scoperto proprio in quell’anno durante alcune ricerche scientifiche condotte da una nave della marina militare e dopo alcuni dragaggi fu rinvenuta anche un’ancora di tipo siracusano del 1V secolo a. C. insieme ad alcuni relitti lignei.

Eliano, storico a cavallo tra il 11-111 secolo d. C., narra della grossa spedizione di 300 navi, una specie di « invincibile armada » che Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, inviò nel 377 a. C. per sconfiggere i fieri avversari di Thurio.

Le navi erano arrivate nei pressi della nostra costa quando inspiegabilmente andarono a picco e per i turini era stato il dio Borea (i venti del nord) a punire gli avversari. Vero- similmente le navi incapparono nei frangenti creati dal banco e nei terribili vortici noti da secoli con il nome di «Vortici di Albidona». Rilievi effettuati recentemente in funzione del costruendo porto di Sibari hanno evidenziato una serie di avvallamenti intervallati da rilievi la cui natura non è stata spiegata; potrebbero essere le trecento navi di Dionisio inglobate dalla sabbia sui bassi fondali.

I pescatori della zona da tempo riferiscono d’immersioni nelle ricche acque del Banco e non a caso si sono registrate morti di archeologi subacqui in tragiche circostanze.

Leggi altri articoli: